La corporeità del “Cristo dolce Gesù” in Caterina da Siena

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L’A. mira a mettere in rilievo come per Caterina da Siena la corporeità di Cristo non sia un optional, un accessorio di cui la teologia possa fare a meno. La ragione è semplice. Tolta la carne di Gesù si diluisce completamente uno dei due misteri fondamentali del cristianesimo: l’Incarnazione.

La Senese, invece, si mostra consapevole della centralità della corporeità di Gesù, così indissolubilmente legata al realismo dell’Incarnazione. Caterina dice tutto questo usando diverse immagini. La corporeità del Cristo incarnato e crocifisso è come un ponte o una scala che unisce la terra al cielo, vale a dire l’uomo e Dio. E’ come un libro dove leggiamo l’amore di Dio per tutto l’uomo e per ogni uomo. E’ come un’esca per attirare l’uomo – spirito incarnato – attraverso la realtà sensibile della carne di Gesù.

La Santa di Siena, inoltre, sottolinea come tutta l’esistenza cristiana abbia il suo polo di attrazione e la sua realizzazione nella comunione alla corporeità del Dio-uomo. Infatti, durante questa vita l’apice della comunione con Dio è la comunione sacramentale al Corpo e al Sangue del Verbo incarnato.

Nella risurrezione dei morti, i corpi delle anime che già godono della visione beatifica, si conformeranno al corpo glorioso di Cristo. La vita eterna non consiste per Caterina solo nella contemplazione della carne di Cristo, ma anzitutto in una profonda comunione fra la nostra anima e l’anima di Cristo, tra il nostro corpo e il corpo di Cristo.
Inoltre, nella cosiddetta “escatologia intermedia”, ossia quando l’anima beata attende la risurrezione del suo corpo alla fine dei tempi, lo stesso corpo del Crocifisso risorto quasi sostituisce, per Caterina, il nostro corpo. Il caro salutis est cardo di Tertulliano esprime molto bene, dunque, la teologia cateriniana del “Cristo dolce Gesù”.